Crosetto: «Non ci sono le condizioni per un intervento italiano in Ucraina. Da Parigi dichiarazioni che innalzano la tensione»
Il ministro della Difesa: Roma non può partecipare a guerre d’aggressione
«La nostra posizione non cambia: abbiamo sempre detto che l’Ucraina andava aiutata in ogni modo possibile, e lo stiamo facendo, ma abbiamo anche sempre escluso un intervento diretto nel conflitto dei nostri militari». Guido Crosetto è fermissimo. Da ministro della Difesa che «dall’inizio» ha sostenuto che «si doveva aiutare l’Ucraina per evitare un allargamento del conflitto», oggi chiede di non alzare la tensione. Al contrario, si cerchi ogni forma di dialogo, iniziando a «tessere la tela della diplomazia». Perché se un conflitto deflagrasse «l’Italia avrebbe molto da perdere».
Quindi l’Italia non parteciperà ad alcun eventuale intervento armato?
«Assolutamente no! Questo oggi non può metterlo in dubbio nessuno».
Perché?
«Perché a differenza di altri, noi abbiamo nel nostro ordinamento il divieto esplicito di interventi militari diretti, al di fuori di quanto previsto dalle leggi e dalla Costituzione. Possiamo prevedere interventi armati solo su mandato internazionale, ad esempio in attuazione di una risoluzione dell’Onu. Quello ipotizzato in Ucraina non solo non rientrerebbe in questo caso, ma innescherebbe una ulteriore spiralizzazione del conflitto che non gioverebbe soprattutto agli stessi ucraini. Insomma, non esistono le condizioni per un nostro coinvolgimento diretto».
Quindi Macron ha sbagliato a chiamare a raccolta i paesi europei in caso di un peggioramento della situazione?
«Non giudico un presidente di un paese amico come la Francia, ma non comprendo la finalità e l’utilità di queste dichiarazioni, che oggettivamente innalzano la tensione».
Elettorali?
«No, questo non lo penso. Forse vogliono riaccendere un faro su una guerra, che i media avevano dimenticato. Purtroppo, si va a mode anche sui conflitti, va detto. Ora il centro di tutto sembra essere Israele, ma vorrei ricordare che se siamo stati scossi dall’attacco dell’Iran, gravissimo, con alcune centinaia di bombe e droni, non dobbiamo dimenticare che in Ucraina ogni giorno vengono sganciati diecimila — ripeto, diecimila — granate di artiglieria anche su obiettivi civili, su persone, su infrastrutture».
Ma se davvero l’Ucraina cedesse, l’Italia che farebbe?
«Dobbiamo evitare che ciò accada. Per questo fin dall’inizio abbiamo detto che l’Ucraina andava aiutata, perché se i Russi arrivassero a Kiev, se conquistassero un paese sovrano, se dessimo per scontato — come alcuni sedicenti esperti e professori compiacenti verso la Russia, e mi chiedo come si faccia a esserlo gratis... — che si può invadere un altro paese solo perché si è più forti, sarebbe un disastro per tutti».
Quindi?
«Continueremo a fornire aiuti, come abbiamo fatto finora, finché sarà utile e finché potremo farlo».
Dalla Lega arrivano distinguo...
«La Lega ha votato sempre assieme al resto della maggioranza. In ogni caso, il discorso è semplice e vale per tutti. Al di là della simpatia o meno per il Zelensky, se non si vuole aiutare l’Ucraina per ragioni ideali, lo si faccia per ragioni pratiche o addirittura per interesse: se cede quell’argine, l’Italia, che non ha una difesa autosufficiente ed è uno dei pochi paesi che non contribuisce per il 2% alle spese militari della Nato, sarebbe in difficoltà, pratica e diplomatica».
Cosa si può fare concretamente?
«Tutti i paesi possono fare qualcosa in più in termini di aiuti, ma soprattutto dobbiamo credere e insistere con la diplomazia. Bisogna tornare a forzare la mano all’Onu, a Putin, alla conferenza di Ginevra; anche il Vaticano può riprendere la sua mediazione. Non dobbiamo lasciare nulla di intentato per arrivare a una tregua: anche un solo giorno senza bombe è un risultato, perché poi possono diventare due, o tre, o quattro...».
È questo che l’Italia cerca di fare con Israele?
«Si certamente. Noi siamo un Paese amico di Israele, ma siamo stati anche molto duri con loro. Lavoriamo a viso aperto per una tregua, perché non ci siano più morti innocenti. Allo stesso modo vorrei che tutta la mobilitazione che vedo a favore della Palestina ci fosse anche nei confronti dell’Ucraina. Queste grandi manifestazioni che chiedono la pace, magari senza usare la violenza, che purtroppo vediamo negli ultimi giorni specie nelle università, vanno benissimo. Ma vorrei vederle anche per tutti i morti civili ucraini. Non esistono morti di serie A e di serie B, bambini che valgono le grida in piazza e bambini che possono essere lasciati morire, scacciati dalle loro terre, invasi e costretti a scappare. Perché la Russia non sta solo “riconquistando” le terre russofone, come qualcuno cercava di far credere, ma vuole tornare alla vecchia Unione Sovietica, con metodi che, se legittimati dalle nostre opinioni pubbliche, portano al punto di non ritorno».
Come si inverte la rotta?
«Dialogo, mobilitazione, pressione. Io andrei ad una manifestazione per la difesa dei bambini di Palestina se, assieme, ce ne fosse anche una per quelli dell’Ucraina. Senza violenza, sarei lì, a chiedere la pace. In prima fila. Ma per tutti, non solo per qualcuno. La pace non può diventare una clava ideologica, deve essere un valore unificante».